Anno di violenze e congiure, la “Capitale del Mondo” fu campo di battaglie private e pubbliche; teatro di complotti ed intrighi: pretoriani e senatori, legionari e gladiatori, filosofi e letterati, schIavi e liberti, vestali e prostitute, maghi e fuorilegge.

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"SEPOLTA VIVA - LA VESTALE " - Marco il Tribuno

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mercoledì 23 luglio 2014

MORTE di NERONE




   In gran fretta lasciarono la Domus Aurea così come si trovavano.
Scalzo e in veste da camera, Nerone si gettò addosso e sul capo un mantello di dubbio colore, nascose la zazzera fiammante e si coprì la faccia con un fazzolettone.
Attraverso un passaggio segreto sbucarono in un’ansa dove trovarono ad attenderli quattro cavalli.
In strada nessuno pareva badare a loro e un lungo respiro allargò il petto di Nerone. Puntarono i cavalli in direzione del Clivius Suburbanus, non lontano dalla Porta Esquilina. Davanti a loro l’ammasso dei laterizi e di cataste di legname limitava la vista. Un lampo illuminò la scena e quasi li investì.
Il cavallo di Nerone ebbe uno scarto; il mantello gli scivolò dal capo e un uomo della Guardia Personale, un certo Missizio, fiaccola in mano, lo riconobbe. 
“Ave, Cesare!” salutò.
Nerone spronò il cavallo e così fecero gli altri.
“Ma quello è Cesare!... Sì! E’ proprio Cesare e l’altro era Faonte.” la voce del pretoriano li inseguì insieme al fracasso di un nuovo tuono che sconquassò l’aria caricandola di energia.
Al galoppo serrato percorsero le strette itinera, fuori le mura; le fiaccole agli angoli delle strade stentavano a bruciare  sotto la sferza della pioggia. La tempesta ruggiva, insaziata, ma non rallentò la corsa. Avanzarono lungo una strada di cipressi che finiva nella campagna aperta fino a un bosco di eriche; le colline di Cispio occupavano il fondo di quel paesaggio.
Dopo un paio di miglia furono in vista di un sentiero, tra la Via Salaria e la Nomentana, che sprofondava nella collina in un seno oscuro che Faonte chiamava Villa. Sorgeva su uno spiazzo sconvolto e rielaborato da frane, terremoti e alluvioni, tra macerie, rovine di antichi templi, statue monche e frammenti di capitelli.
Quando Faonte aveva acquistato quella proprietà l’aveva chiamata Stige e aveva riadattato il vecchio tempio sconsacrato, destinandolo a quel genere di riunioni orgiastiche a cui non si invitano che amici fidati.  Era un ritiro e un rifugio e vi si accedeva attraverso un’entrata segreta occultata da un canneto le cui radici affondavano in larghe pozzanghere.
“Non è per entrare vivo sottoterra!” scherzò Faonte.
“Qui sotto va bene anche da vivo.” stette allo scherzo Nerone.
Il liberto, che guidava quella processione, si voltò a guardarlo, fece l’atto di dire qualcosa, ma poi tacque e proseguì, infilandosi nello stretto cunicolo che si apriva davanti a loro.
Nerone lo seguì; si gettò la cappa sulle spalle e s’infilò nel budello, strisciando carponi fino a che non raggiunsero un vano.
Uno schiavo  venne loro incontro con una fiaccola accesa. Li fece entrare e prima di chiudere la porta dietro di sé, Faonte gli ordinò di recuperare i cavalli nel timore che qualcuno li avesse seguiti.
Lo schiavo si allontanò per eseguire gli ordini e il gruppo entrò. L’interno non era meno lugubre di fuori e forse era ancora più triste: uno stanzone in fondo al quale c’era un Larario; insieme ai Lari c’era anche una piccola statua di Nerone alla quale il liberto rendeva culto insieme agli antenati.
Nerone ebbe un sorriso nel posarvi lo sguardo.
Dall’atrio passarono direttamente nel tablino, un grande ambiente un po’ più confortevole.
Faonte accese le lucerne appese alle pareti e attizzò il fuoco di un enorme tripode di bronzo, poi mostrò all’ospite un lettuccio con sopra una coperta. Nerone vi si gettò sopra senza una parola, fradicio e tremante di pioggia e Faonte gli buttò addosso un mantello e gli chiese se volesse qualcosa.
Nerone rispose di aver sete e il liberto gli  portò acqua e pane.


“Passeremo sicuri la notte, se quel pretoriano non porterà qui quella folla impazzita. - disse Nerone, riferendosi all’uomo che lo aveva riconosciuto - Da qui potremo organizzare una fuga tra i Parti.  Vologese è mio amico e non mi negherà il suo aiuto né mi farà fare anticamera alla sua porta.”
Atte ed Epafrodite ascoltavano in silenzio e scuotevano il capo. La notte passò relativamente tranquilla e verso l’alba i due schiavi che Faonte aveva spedito in città giunsero con le ultime notizie.
“Il Senato ha decretato la morte di Cesare. - riferì uno dei due - Un gruppo di pretoriani sta venendo a prenderlo. Vivo, sono gli ordini!... Li abbiamo lasciati alla Porta Nomentana. Saranno qui fra poco. Non è tutto. – riprese dopo essersi schiarito la voce - Il Senato vuole che l’esecuzione capitale venga eseguita con tutte le pene  previste.”
“E... quali sono queste pene?” domandò Nerone.
“Quelle che già sai, Cesare.- interloquì Faonte - Dovrai essere trascinato nudo per le strade e battuto con le verghe fino a morirne e poi  sarai scaraventato giù dalle Scale Gemonie e...”
“Oh!... Basta così! Come hanno fatto a scoprire così presto questo nascondiglio? – lo interruppe -  Qualcuno ha tradito?...”
“No, Cesare. Non ci sono traditori, qui!”
“C’è ancora la  Auditrix.”   Nerone tentò un’ultima replica.
“Tardi! La tua Legione, Cesare, non è stata completata,”
“Ma come è possibile? Ho posto tanta cura, io personalmente, in quest’impresa. Non ho trascurato alcun particolare...”
“E’ stato proprio questo il tuo errore, Cesare! - lo interruppe l’altro -Troppa cura nei particolari e troppa poca cura nell’essenziale. Hai pensato al talco per gli atleti e ai truccatori per le amazzoni e hai trascurato armi e approvvigionamenti.  La Auditrixnon esiste!”
“Allora dovrò proprio morire?”
Cesare afferrò uno dei due pugnali che aveva portato con sé.
“Dovrai farlo, Cesare, se non vorrai patire torture e infamia e...”
“Oh, ma questa lama… sarà abbastanza tagliente? Saprà ben forare la carne e portarne via lo spirito? - l’uomo che era stata causa di tante morti reggeva il pugnale con mano malferma - Anubi dalla testa di Sciacallo non fa ancora cenno di salire sulla Barca Sacra. Il messaggero della Morte è ancora lontano.”  prese a recitare, incapace di uscire dal suo sogno di artista perfino nel momento estremo - Oh, Osiride,  Signore dell’Eternità. Ti saluto. Vengo a te ben provvisto. Dammi un posto nel Neter-Khert. Che la mia sistemazione sia durevole. Che io...”
“Nerone! Nerone! – lo sollecitò Atte - E’ ora di morire non di recitare. Coraggio, mio bene! Mostra di saper morire da Cesare!”
“Tu, mia Atte, tu mi vuoi bene… tu sola  mi sei rimasta fedele. Vieni con me, dunque! Amami anche nella morte. Amami come Arria amò il suo Peto.... Ah!... Donna mirabile e coraggiosa, che dette coraggio al suo uomo e si conficcò per prima la lama nella carne. Oh, Atte! Dimmi anche tu come Arria: Non dolet!  Io ti seguirò felice e con te affronterò la Palude Stige e l’Averno.”
Arria era la moglie di Cecina Peto, che nel 42 aveva partecipato alla congiura contro l’imperatore Claudio. Nell’apprendere della condanna del marito, si trafisse per prima poi porse il pugnale al marito dicendo: “Non fa male!”
“Oh, Cesare! - esclamò Atte scuotendo il capo – Potesse quello che mi chiedi evitare a te la morte, lo farei con gioia e l’avrei già fatto!... Io vivrò per impedire che il tuo corpo sia oltraggiato e profanato e per piangere sulla tua tomba.”
Nerone riprese in mano il pugnale; lo girò e rigirò tra le dita
“Questi rumori… da dove provengono questi rumori?”
“Sono loro.. gli uomini della Guardia Pretoriana che vengono a prenderti. Vuoi farti trovare ancora vivo?” disse Epafrodito.
“No! – Nerone scosse il capo, alla ricerca di quel coraggio che gli mancava; accostò la punta del pugnale alla gola, ma non riuscì a conficcarla nella carne - Scuotiti,  Nerone – provò a darsi coraggio - Non è da Nerone!.Bisogna essere svegli in tali frangenti. Vituperosa cosa è che io viva in questo modo!  Su! Date inizio ai lamenti funebri... Mi chiamano a morir la moglie, la madre e il padre!” riprese a recitare, sui versi dell’Edipo. I rumori si fecero più vicini. Non più suoni incerti e frammisti al frastuono della tempesta, ma distinti zoccoli di cavalli sui ciottoli, attutiti dalla pioggia e dal fango.
Equorumcursus velocibus pedibus ad meas aurespervenit...” continuò (Di piè veloci cavalli mi giunge alle orecchie il galoppo!) prima di trovare il coraggio di cacciarsi il pugnale in gola e con l’aiuto di Epafrodito farlo penetrare fino  al manico.
Sotto spinta vigorosa, la porta si spalancò nel mentre e sulla soglia comparve un centurione del Pretorio seguito da pretoriani; Nerone non era ancora spirato e quello volle beffeggiarlo.


“Vengo in tuo soccorso, Cesare!” disse fingendo di essere lì per aiutarlo e correndogli vicino col mantello per arrestare il flusso del sangue e Nerone trovò finalmente forza e dignità.
Haec fide est?” (E’ questa la fedelta?) disse, stando al gioco, e spirò.
Era l’alba del 9 giugno del 68 d.C.

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