Maya era sicuramente una “brava
figliola”, come diceva Lucilio, ma soprattutto era una ragazza innamorata.
Innamorata del suo filosofo svagato e sognatore e per amor suo aveva accettato
quella situazione.
Diciotto anni, il suo destino era
quello, prevedibile e triste, di tante bambine nate in schiavitù. Era
bellissima, cosa che aveva fatto di lei la più nota e desiderata delle
prostitute di Roma. Prima di lei, anche
sua madre, da cui Maya aveva eredità la travolgente bellezza, aveva conosciuto
quel destino obbligato.
Un destino anche più misero, in
verità! Priscilla era stata esposta alla nascita per volontà del padre che alla
moglie partoriente aveva ingiunto di tenere il figlio solo se fosse stato
maschio e di esporlo se femmina.
L’avevano raccolta ai piedi della
Colonna Lattaria e allevata a spese dello Stato. Aveva dieci anni quando era
comparsa per la prima volta in una sala d’asta per la compravendita di schiavi,
insieme a una dozzina di fanciulle e fanciulli di bell’aspetto, destinati a
servire nella casa di qualche ricco patrizio o ad esercitare in una Casa di
Piacere. L’aveva comprata un mangone,
mercante di schiavi, per conto della famiglia Crispinilla e in quella casa era
cresciuta e vissuta per dar gioia
e piacere con il sorriso e il
corpo giovane e ben fatto. Fino alla morte del padrone, quando si era vista
affrancare per testamento. Ma anche dopo, Priscilla aveva continuato a fare
quello che aveva sempre fatto: la prostibula
e con la famiglia Crispinilla aveva mantenuto quel rapporto di obbligo e
dipendenza previsto per legge.
Uguale destino per sua figlia, la
piccola, bellissima Maja, che portava quel nome per essere nata nel mese di
maggio. Chi era il padre della piccola?
Priscilla non lo sapeva davvero. Forse un tribuno, forse un censore. Oppure un
console amico di famiglia del padrone. Ma avrebbe potuto essere il padrone
stesso: dettaglio, se corrispondente a verità, senza alcuna importanza.
Era bellissima. Questo sì, era un dettaglio
importante. Lo era soprattutto per la padrona: Apollonia Crispinilla, madre di
Calvia, che, come molte donne dell’alta società, non disdegnava il mercato
della prostituzione, organizzando bordelli in cui collocarvi schiave e liberte
di casa.
Maya era l’etera più bella di Roma
e la più richiesta: per un sol giorno, un mese o anche un anno.
Non era facile, però, godere delle
grazie di quella splendida creatura: il prezzo da corrispondere era piuttosto
elevato. Permetteva a madre e figlia un certo tenore di vita e alla ingorda
padrona un reddito sicuro. Se il vecchio Licinio era riuscito a strappare un
contratto di un anno intero a favore di Lucilio, era stato solamente perchè
all’epoca Calvia Crispinilla era amica e amante del tribuno Marco Valerio. Il contratto era scaduto da tempo e Lucilio era tornato libero; non Maja, però,
che del suo filosofo s’era innamorata davvero e in cuor suo era pronta a tutto:
sfidare la padrona e disubbidire a sua madre.
Un amore, il suo, completo,
esclusivo ed assoluto. Non quello logorato dall’abuso dei sensi, ma alimentato
dal sentimento. Lei, che non doveva possedere sentimenti, né appartenere a qualcuno, poiché era di tutti e di nessuno,
aveva, invece, scelto di amare. Lei, che non poteva avere amici o innamorati,
ma solo amanti, aveva scelto di amare, Lei, per cui gli uomini erano capaci di
rovinarsi ma non per amore, bensì per maschio orgoglio, aveva scelto di amare.
E, quando una creatura come lei ubbidisce al cuore, nessun’altra emozione umana
può eguagliare quel sentimento.