Anno di violenze e congiure, la “Capitale del Mondo” fu campo di battaglie private e pubbliche; teatro di complotti ed intrighi: pretoriani e senatori, legionari e gladiatori, filosofi e letterati, schIavi e liberti, vestali e prostitute, maghi e fuorilegge.

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"SEPOLTA VIVA - LA VESTALE " - Marco il Tribuno

Le tenebre avevano quasi avvolto ogni cosa, complici di delitti e malefatte, quando la biga raggiunse la sua destinazione;  l’Agger   Sceler...

sabato 7 settembre 2019

"IDILLIO"




Davanti all’ingresso della grotta i due giovani si fermarono.
“Vai. – disse il ragazzo - Io ti aspetterò qui. Vai ad ascoltare la tua canzone.”
Lei si avviò, lieve come una farfalla, verso l’antro buio; profondo il silenzio, rotto solo dallo scorrere delle acque sorgenti. Chiuse gli occhi, ma solo per guardare dentro di sé, poi attese il “canto”.
Quando lasciò l’antro trovò Milos appoggiato al fusto di una delle querce. Il ragazzo non si era ancora accorto della sua presenza e lei restò per qualche attimo a contemplarlo in silenzio. Aveva  pensato, entrando in quell’antro, a chi sarebbe stato capace di sostituito Fabio nel suo cuore, ma la risposta era davanti a lei.
La stretta delle sue braccia, la pressione della bocca sopra la sua, erano sensazioni dirompenti ed eccitanti .... No. Non si era mai soffermata a scrutare le sensazioni indotte dai contatti con Fabio, fraterni ed affettuosi. A fare il confronto fra i due, adesso, le pareva addirittura di sminuire  ciò che provava per ognuno di loro: emozioni diverse, ma entrambe irrinunciabili.  Irrinunciabili perché il primo era il sentimento che non aveva bisogno della presenza fisica per esistere, ed era l’Affetto; l’altro, invece, era il sentimento nutrito da sguardi e carezze ed era l’Amore.
Lei amava l’Amore, ma non voleva rinunciare all’Affetto.
Richiamato da quello sguardo, Milos si voltò, si staccò dal tronco e le andò incontro; qualcosa, negli occhi di lei gli rivelò le sue emozioni.
“La Fonte ti ha parlato?” domandò; lei scosse il capo.
“No!... Non la Fonte! E’ il cuore che mi ha parlato!” disse alzando lo sguardo e protendendo il volto in cerca di carezze. L’ultimo chiarore del sole morente, intanto, sfavillava nelle gocce d’acqua che le cadevano di tra le dita e   il canto delle cicogne che avevano nidificato tra le canne dello stagno, arrivava stridulo e insistente.
Milos si chinò; con una mano le scompigliò i capelli legati sulla nuca e trattenuti da un nastro colorato, poi la prese per la vita e la sollevò da terra.
Occhi negli occhi, Milos la fissò in silenzio, tremante d’emozione, prima di accostare la bocca a quella di lei e farvi combaciare le linee arrotondate delle sue labbra. Sebbene a tenerli uniti fosse solo quel contatto e le dolci angolazioni del corpo di lei che gli scivolava addosso, morbida e calda, si sentì incatenato come da una forza invisibile, dolce e misteriosa. Trattenne la sua bocca e le liberò i lunghi, setosi capellini lei dal nastro che li legava.
Livilla tirò il capo all’indietro offrendo alle sue labbra quella curva morbida e tenera, fra la gola e il seno, in cui egli tuffò le labbra con avidità. Morbide anche le braccia, che lei gli passò attorno al collo come dolci e delicate catene, infine, lei gli posò il capo sulla spalla. Pian piano, con infinita delicatezza, lui la rimise a terra e con le mani le accarezzò la schiena, salì fino al collo, raggiunse la nuca. Lei staccò le braccia dal collo e gli circondò il busto, poi anche lei percorse la schiena di lui, salì fino al collo, ma non riuscì a raggiungere la nuca. Pure così, egli rabbrividì di piacere e continuò ad esplorarla ed accarezzarla, fino a quando un rumore alle spalle li staccò l’una dall’altro; Milos si guardò intorno.
“Qualche scoiattolo sta sgranocchiando ghiande di quercia. - disse - Questo bosco mi ricorda i monti della Tracia, quando, da bambino, mio padre mi portava a cacciare il lupo.”

venerdì 6 settembre 2019

" Le donne di Nerone"





Fra i volti che invece conosceva bene, Marco riconobbe quelli di Faone, Egialo ed Epafrodito: tutti affidabili, competenti ed efficienti Amministratori Pubblici.
Accanto ad Epafrodito scorse una donna dalla giunonica bellezza. Stava  appoggiata ad una balaustra, ammantata di seta trasparente che nulla lasciava all’immaginazione. La bocca sensuale era ingrandita e accesa dal rosso del minio e gli occhi erano truccati col nero dell’antimonio e allungati verso le tempie. Era letteralmente coperta di gioielli. In testa portava una parrucca di capelli veri. Biondi. Tagliati, forse,  a qualche schiava germanica. Composti in treccine raccolte a crocchia, erano trattenuti sulla nuca; una ghirlanda di foglioline d’oro faceva risaltare i riccioli sapientemente disposti sulla fronte.
Anche alcuni di quei gioielli erano stati sicuramente predati a qualche regina lontana. Erano preziosi e di squisita fattura. Soprattutto il collier, lungo ben oltre i due metri e mezzo, che le avvolgeva collo, busto e vita. Altre collane le appesantivano braccia e caviglie: maglie d’oro che la facevano assomigliare a un idolo luccicante che mandava bagliori al più piccolo movimento. Un idolo annoiato, a giudicare dalla piega delle labbra e dallo sguardo assente e svagato.
Quella donna era Statilia Messalina, ultima moglie di Cesare, e più di ogni altra, incarnava il concetto di emancipazione della donna romana. Di nobile famiglia, era cresciuta a corte. Bella e spregiudicata, era subito entrata a far parte della cerchia ristretta ed intima di Nerone, di cui era diventata l’amante fin dai tempi in cui questi brigava per disfarsi della moglie, l’infelice Ottavia.
Non era stata la travolgente passione che lo  aveva legato alla bella Poppea, ma, alla morte di questa,  aveva finito per sposarla.
Quasi nell’ombra, Marco vide un’altra delle donne che tanto avevano contato nella vita di Nerone: la liberta Atte, che lui conosceva assai bene e che era stata il grande amore di Cesare prima della comparsa di Poppea.
Nerone n’era stato così innamorato che c’era mancato poco la impalmasse ed elevasse al rango di imperatrice. Finita la passione, però, non l’aveva “gettata via” come aveva fatto con le altre donne, ma tenuta a corte.
Neppure Poppea era riuscita  ad allontanarla.
Atte era sempre lì: ombra discreta ma onnipresente.
Era bella come la ricordava, pensò il giovane: la figura slanciata e aggraziata, il volto bello e sensuale e il portamento quasi regale. Sulla stola verde smeraldo, raccolta in vita da una cintura dorata, portava una mantella dello stesso colore che le copriva il capo e parte del volto, ma le esaltava lo sguardo: due occhi di un nero africano ancora intenso e fiammeggiante, lo stesso che aveva ammaliato e soggiogato Cesare.
Lo stesso che, forse, ancora continuava a soggiogarlo.
Scorrendo lo sguardo dall’una all’altra, appariva evidente l’abisso sociale delle due donne: se Messalina rappresentava l’emancipazione femminile più di fatto che di diritto, poiché sul codice restava sempre sotto tutela maschile, nella sua condizione di liberta, Atte, invece, incarnava la vera e sola indipendenza.

Ma ecco un altro volto distrarlo dalle sue riflessioni: Calvia Crispinilla, venticinque anni e tre matrimoni alle spalle.
Calvia era una vecchia conoscenza di Marco quando era ancora ragazzo e lo era dello stesso Cesare, fin dai tempi delle bravate al Ponte Milvio. Era lì che, all’epoca, si incontravano i giovani gaudenti della buona società. La “banda” arrivava tutte le sere attraverso i Giardini di Sallustio, tra il Pincio e il Quirinale e si aggirava tra banchi e tavole, saccheggiando e rubacchiando.
Quando a Roma si seppe che a guidare quella banda di teppisti era Cesare in persona, furono molti i delinquenti che si organizzarono per emularne le prodezze e spacciarsi per la teppa imperiale.
Erano i primi anni di regno e Cesare tornava spesso da quelle scorribande notturne con la faccia tumefatta. 
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brano tratto d  LA DECIMA LEGIONE  - Marco Valerio il Tribuno