Anno di violenze e congiure, la “Capitale del Mondo” fu campo di battaglie private e pubbliche; teatro di complotti ed intrighi: pretoriani e senatori, legionari e gladiatori, filosofi e letterati, schIavi e liberti, vestali e prostitute, maghi e fuorilegge.

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mercoledì 30 marzo 2022

I BASSIFONDI DI ROMA - LA CLOACA MASSIMA

 



La geografia dei sette Colli di Roma, nati dalla eruzione degli antichi vulcani laziali, complessa e ondulata, nascondeva tra le pieghe delle colline e nel fondo delle valli coperte di edifici, anfratti e fossati. La grande città saliva e scendeva su un terreno che le convulsioni e i vulcani avevano sconvolto e mutato. La natura ricca e generosa aveva poi rivestito quel suolo con oliveti, vigneti, boschi di querce e cipressi e l’uomo l’aveva ornata con templi e palazzi.  Sotto di sé, quella città unica al mondo, nascondeva un’altra città: strade, piazze, incroci e rigagnoli di melma fangosa e acque putride. Mentre in

superficie piogge e temporali, trasformavano i marciapiedi in acquitrini, là sotto era fango permanente.

C’era, poi, la selva di condotte, cisterne e tubi per la distribuzione dell’acqua potabile che alimentava terme, fontane, palazzi e case, una infinita rete di canali che conduceva in una sola grande fogna: la Cloaca Massima, che a sua volta si gettava nel Tevere, convogliando acque e immondizie.

Il “ventre ingordo” di Roma, la chiamava Lucilio. Diceva che quel “ventre”  raccoglieva e flautolava nel Tevere tutta la ricchezza della città.

“Ogni singulto di quelle fogne è un rutto dell’Urbe grassa e sazia!” ripeteva tutte le volte che andava ad inciampare in qualche mucchietto di rifiuti dimenticato in un angolo di strada, non mancando di far notare  i fetidi scoli melmosi sotto le cunette stradali.

Una rete fognaria di prim’ordine, ampliata e migliorata nei secoli con opere di canalizzazione, come nel punto in cui la cloaca entrava nella zona del Foro, dove era stato eretto un sacello a Venere Cloacina.  Iniziava dalla Suburra, attraversava l’Argileto, il Foro, il Velabro e il Boario e si scaricava nel Tevere, nei pressi del Ponte Emilio.

 

Il gruppo si infilò in una delle tante condotte. Qui l’aria era un po’ più respirabile, l’ambiente ordinato. Segno di frequente manutenzione. L’acqua scorreva in un canale di pietra, largo più di tre metri, affiancato da due corridoi che congiungevano la volta a semicerchio; basse nicchie ne interrompevano qua e là il percorso.

Proseguirono in silenzio; i sandali battevano sulla selce producendo un rumore che l’eco trasportava dietro e lasciava alle spalle.

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